Thursday, July 7, 2011

Dal nostro inviato speciale !

Messaggero Veneto 28/06/11
FIAMME SUL CONFINE... 20 ANNI DOPO
Jugoslavia in frantumi e alla Casa Rossa fu una battaglia lampo.
Il 25 giugno 1991 la Slovenia e la Croazia proclamano l’indipendenza
Il 28 i tank di Belgrado vengono respinti a Nuova Gorizia
di Pietro Oleotto


All’inizio del giugno di vent’anni fa, la Jugo, a Gorizia, cominciava con una lunga fila per andare a fare benzina, la Croazia era solo il mare di Istria e Dalmazia e Ratko Mladic – che nel ’95 sarebbe diventato il “boia di Srebrenica” – un generale dell’Armata Popolare. Quell’Armata che in quei giorni fu spedita in assetto da guerra, sfoderando i cingoli dei tank, a presidiare i confini della "Repubblica socialista federale" la cui unità mostrava crepe evidenti. Qui, da questa parte, si notavano a stento, anche se si sapeva che non era più il paese descritto con una famosa frase dal padre fondatore: «Noi in Jugoslavia dobbiamo dimostrare che non esistono maggioranze e minoranza». «Mi moramo u Jugoslaviji pokazati da ne može biti manjine i vecine», come aveva declamato il maresciallo Josip Broz Tito, scomparso undici anni prima.
Nel 1991 non solo esistevano maggioranze e minoranze; c’era la forza centrifuga dei nazionalismi azionata dalla Serbia di Milosevic che avrebbe portato prima alla disgregazione dello Stato, poi agli orrori della guerra civile. Così il 25 giugno Slovenia e Croazia proclamarono la propria indipendenza e il giorno 28 bisognava essere oltre confine, da italiani, per testimoniare cosa succedeva alle porte di casa. Cosa ci facevano quei carri armati tra la gente, qualche metro dopo il valico internazionale della Casa Rossa? “Di là” si combatteva o il passaggio storico era pacifico? Alle cinque del pomeriggio si diceva che sulla strada statale che collega Lubiana con Nuova Gorizia sarebbero passati i rinforzi dell’esercito federale per raggiungere gli avamposti piazzati sul confine: lasciata la redazione isontina del Messaggero Veneto, la Mercedes del nostro fotoreporter, Nello Visintin, una mezz’ora dopo era già ad Aidussina, dove il segnale italiano del telefono veicolare (una cornetta agganciata a un’enorme scatola nera di metallo, i cellulari erano una rarità) si perdeva inesorabilmente. Bisognava fermarsi, ma non per l’assenza di comunicazioni con il giornale, dove il capo servizio Vincenzo Compagnone coordinava il lavoro tenendo i contatti con Udine, bensì perchè sulla striscia d’asfalto del ponte sul torrente Hubel la gente del paese aveva piazzato i mezzi pesanti in proprio possesso, a spina di pesce, per sbarrare la strada ai cingolati comandati da Belgrado.
Era il primo segnale che c’era una regia slovena per impedire l’espandersi a macchia d’olio di un eventuale conflitto attraverso l’opera della milizia territoriale, la Teritorialna Obramba. Dieci minuti, venti, trenta, un’ora. Poi qualcuno si avvicina: «Italiano, torna a Nuova Gorizia, là sta succedendo qualcosa». La statale è deserta, il cambio automatico della macchina scala marce lunghe per assecondare la nostra volata di ritorno verso il confine: Crnice, Vitovlje, Sempas.
A circa un chilometro da Casa Rossa un posto di blocco: documenti. È la polizia slovena. «Volete passare? A vostro rischio». Rischio? Di cosa? Parcheggiamo e cominciamo a correre verso il valico lungo il rettilineo che gli sta di fronte, fino a quando non sentiamo un’esplosione fortissima. Siamo a pochi metri dai distributori Petrol, deserti, mentre dal carro armato al centro della strada si alza una colonna di fuoco. La Nikon reflex di Visintin scatta a ripetizione, la mia tasca gonfia di rullini di pellicola (altro che digitale!), si svuota in un amen: sono steso a pancia in giù sotto una vecchia Zastava 750 – la 600 Fiat “potenziata” fatta a Kragujevac –, quando sento un rumore metallico alla destra della mia testa.
A un miliziano sloveno è appena caduto un caricatore da kalashnikov: lo raccolgo e lo consegno prontamente. I territoriali hanno attaccato a colpi di bazooka i tank dell’Armata Popolare, presa di sorpresa: quattro i morti in quell’inferno. Le lingue di fuoco si alzano alte dalla torretta di comando e ipnotizzano i soldati che vengono catturati in massa con qualche raffica di mitra. Dopo una manciata di minuti siamo infatti in un grande cortile a poche centinaia di metri dal confine, dove assistiamo a una scena da film: i militari dell’esercito sono disarmati, in piedi e in fila, con le mani dietro la nuca.
L’attacco sloveno è riuscito, Casa Rossa è sotto controllo e la gente comincia a uscire dalle case. E mentre i prigionieri sfilano di corsa al comando dei vincitori si sente il rumore dei sassi lanciati contro i loro elmetti che nascondono facce impaurite e tratti somatici macedoni, kosovari, montenegrini. Era la politica dell’Armata: mai fare il soldato a casa. Con il pestare degli anfibi sull’asfalto e le accelerate dei camion che caricano la paura e lo smarrimento di quei ragazzi – per portarli nella caserma di Deskle sulla strada per Canale – cala anche la tensione.
Riprendiamo la macchina, comunichiamo alla redazione che abbiamo delle foto da pubblicare, raccontiamo attraverso il telefono veicolare la battaglia alle porte di Gorizia. E cerchiamo una via d’uscita attraverso l’altro valico internazionale, quello di Sant’Andrea, quello dell’autostrada. Ma al secondo incrocio dopo l’abitato di San Pietro (e l’ennesimo posto di blocco) le vie tornano deserte: in lontananza il cannone di un tank federale segue la nostra Mercedes nel suo tragitto e dopo lo svincolo è chiaro che siamo in trappola.
Le sbarre del confine jugoslavo sono abbassate, impossibile raggiungere l’Italia dove la nostra polizia è in presidio, armata, dietro dei sacchi di sabbia. Ma quando giriamo la macchina, dopo qualche centinaio di metri in senso inverso, ci accorgiamo di non essere più soli: dalla vegetazione esce una sentinella mimetizzata, urla qualcosa in serbo; Visintin piazza una retromarcia che copre il rumore di una raffica in aria e nel momento del “rinculo” dal finestrino aperto spunta una canna. Catturati. Hanno la stella rossa sul copricapo, ci credono delle spie pronte a rivelare le loro posizioni agli sloveni della Territoriale. Sono dell’Armata federale, sono in guerra, una guerra civile.
Fuori dalla macchina la perquisizione: spariscono i rullini, resistono solo quelli nascosti sotto i tappetini della vettura. Mezz’ora dopo – bontà loro – ci alzano la sbarra di qualche centimetro, tanto che l’antenna piazzata al centro del tetto fatica a passare. Ci è andata bene, possiamo raccontare cosa sta succedendo, con parole e immagini. Neanche un graffio, mica come quel povero soldato scappato oltre il confine durante l’attacco e colpito a un gluteo prima di essere accolto in Italia.
Il giorno dopo andai in ospedale a sentirlo. Giovanissimo, biondo, occhi azzurri era un croato: «Faccio il contadino», mi disse quasi volesse far felice la memoria di Stjepan Radic. «Ci avevano detto che dovevamo difendere la nostra terra da voi italiani». Era cominciato il decennio delle bugie. Curato, fu rispedito a casa, nell’entroterra di Zara. Chissà se per lui fu l’ultima divisa vestita. Se vide l’Operazione tempesta, la terribile Operacija oluja del generale Ante Gotovina, o se raggiunse Metkovic per sostenere l’identità croata dell’Erzegovina. Storie tormentate di quest’ultimi vent’anni nei Balcani, quasi un effetto domino da quel 28 giugno 1991, quando fu difesa l’indipendenza della Slovenia attraverso delle battaglie lampo ai valichi, come quello di Casa Rossa. Là dove adesso non c’è più un confine, dove si paga in euro, dove è Europa ed è tutto diverso. Meno il prezzo della benzina, sempre più basso: ma almeno non si fa più la coda.


Grazie Pietro... non avremo mai abbastanza parole per dire quanto sei favola ! Grazie dal profondo del nostro cuore .. e dire che tutto il nostro amore per te è iniziato con una litigata !!!!

Pietro.. una favola senza fine
Dedicato a Pietro
I nostri cari motomuloni !
Luca e Pietro a Ljubljana

9 comments:

Lorenzo said...

Pochissimi lo sanno, ma qualche fucilata dall'Italia (che faceva il tifo per la secessione della Slovenia), effettivamente partì. La prova? Vi invito a cliccare su "Lorenzo" per vedere una foto che scattai alcuni anni fa: in primo piano c'è il cippo confinario, mentre sul supporto della barra del passaggio al livello si vedono ancora i segni degli spari che provenivano dal lato italiano.

Costruzione confine Casa Rossa 1947 said...

P.S. Per chi fosse interessato, offro anche una rarissima e preziosa foto del 1947, dove si intravvedono gli operai italiani e iugoslavi che nel 1947 installano il cippo confinario Italia-Iugoslavia tra il quartiere della Casa Rossa di Gorizia e la ex frazione di Valdirose, ribattezzata Rožna Dolina e facente parte della nuova città di Nova Gorica (insieme alle ex frazioni di Gorizia di Salcano, San Pietro e Vertoiba).
Sul ponte ferroviario dov'è inciso "Jugoslavija" oggi è stata appoggiata una placca metallica dove è scritto "Slovenija", che copre tutta la precedente incisione.
Per gli amanti dei dettagli, notare sulla foto a sinistra il cartello indicante il confine provvisiorio. Infatti la guerra era ginita nel 1945, ma per definire il nuovo confine si sarebbe aspettato il Trattato di Parigi del 1947.
Saluti da Lorenzo

балканска девојка said...

molto interessante lorenzo !
grazie
adesso aspettiamo il racconto di luca che lavorava sul confine quando sono arrivati i carrarmati
forza luca.. è un racconto bellissimo e avrei piacere che tutti lo conoscessero

балканска девојка said...

vorrei far notare che il soldato ferito al fondo schiena dagli sloveni non era serbo.. ma croato..
questo per dirvi che si stava sgretolando la jugo.. e per far capire che non è stata la serbia a fare guerra alla slovenia
il fatto che la serbia si chiamasse, dopo i vari conflitti, ex yugo, non significa che la serbia fosse l'intera yugoslavia
sottolineo questo perchè il prossimo post sarà un documentario sulla bosnia suggerito dalla cara sara e io ho già i brividi....
come al solito eva.. la prima traditrice della storia... era serba !!!
ma rimaniamo a piotr.. che amiamo senza fine....
ci hai messo tre anni ma alla fine ci hai accontentato .. slatko novinar !

cisti racuni said...

se non sbaglio una sera arrivò qualche proiettile di mitra dentro una pizzeria adiacnete il confine italo-jugoslavo causando un fuggi fuggi tra i clienti ... eheheh

chissà che scena !

балканска девојка said...

si.. immagino...
una scena che vorrei far provare a un ragazzo che a un convegno ha detto : benedette quelle bombe che hanno fermato i serbi....
non dico tanto.. ma una rafficata di mitra nel fondoschiena.. da farlo fare i suoi bisogni in piedi.. ci stava bene

Anonymous said...

Dove é la Pizzeria colpifa dai proiettili durante i combattimenti?

балканска девојка said...

chiederemo a pietro

балканска девојка said...

dice pietro :

Casa Rossa; Rozna Dolina oltre confine... Sul piazzale del valico internazionale, al centro c'e' ancora una pizzeria: allora gli inviati delle tv si rintanavano la'...

TRASLOCO

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